• Pidocchi in classe? Occhi aperti ma niente panico

    Potranno essere fastidiosi e a volte anche difficili da eliminare, ma i pidocchi della testa non rappresentano certo una malattia, né tantomeno sono il segno di una cattiva igiene personale o domestica. È questo il messaggio principale che emerge da un documento pubblicato dai ricercatori dell’ospedale pediatricoAnn & Robert H. Lurie di Chicago che raccomandano ai genitori di non farsi prendere dal panico se dalla scuola arriva la notizia che qualcuno nella classe del proprio figlio ha i pidocchi.
    Pidocchi in classe? Occhi aperti ma niente panico
    «In realtà i bimbi non dovrebbero nemmeno essere mandati a casa da scuola se la maestra scopre la presenza di questi insetti tra i capelli dell’alunno» dice Karen Sheehan, specialista pediatrica in medicina d’urgenza, «i pidocchi si muovono “camminando”, non possono volare o saltare». E per questa ragione è sufficiente evitare il contatto tra le teste dei bambini per evitare il contagio. E comunque scovare i fastidiosi insetti non è poi così difficile.

    «La diagnosi è immediata se si vede un pidocchio vivo che si muove tra i capelli, ma bisogna anche stare attenti alla presenza delle uova» ricorda l’esperta sottolineando che se le lendini – così sono chiamate le uova dei pidocchi – si trovano sul capello a una distanza inferiore a mezzo centimetro è molto probabile che ci sia un’infestazione in corso, mentre se sono più lontane dal cuoio capelluto è più probabile che si tratti dei resti di una vecchia infestazione ora non più presente.

    «Una volta appurata la presenza dei pidocchi si deve procedere con un trattamento per eliminare sia gli insetti vivi sia le uova e che si basa sull’uso di un pettine a denti molto stretti e su prodotti acquistabili in farmacia senza prescrizione medica» continua Sheehan precisando che se i pidocchi si dimostrano resistenti ai trattamenti disponibili è necessario rivolgersi al medico per scegliere una diversa strategia. Ma non basta. Se un membro della famiglia ha i pidocchi è bene che anche tutti gli altri componenti del nucleo familiare si controllino i capelli e che le federe dei cuscini o i pettini e le spazzole vengano accuratamente lavati.

    «Non serve disinfettare o disinfestare la casa: i pidocchi vivono solo pochi giorni lontani dalla testa» spiega l’autrice, «resta comunque fondamentale controllare con attenzione e regolarità la testa dei bambini e spiegare loro che è meglio non condividere pettini, spazzole e cappelli con i compagni».

    Fonte: dica33.
  • Mal di schiena: 5 + 5 consigli per te

    Mal di schiena: quali sono le persone più a rischio?

    Raggiunti i trent’anni tutti entriamo nel periodo in cui con maggiori probabilità avremo la prima esperienza di mal di schiena. Dai trent’anni in poi il rischio che il problema si ripresenti, con più frequenza, diventa proporzionale all’età. Fermare il tempo non si può, ma sicuramente ci sono almeno 5 cose da sapere sul mal di schiena e 5 consigli per una corretta prevenzione.

    Mal di schiena: 5 cose da sapere

    Tra i fattori legati alle proprie abitudini quotidiane che possono esporre di più al rischio che il mal di schiena cronicizzi troviamo:

    1. Il lavoro. Tutti i lavori che “gravano” molto sul funzionamento della colonna vertebrale possono contribuire al mal di schiena. Ad esempio, Mal di schienapuò essere dannoso svolgere un’attività che richiede lunghi periodi seduti, ma anche il sollevamento di cose pesanti, così come continui piegamenti o torsioni, movimenti ripetitivi o vibrazioni costanti (come l’utilizzo di un martello pneumatico o la guida di attrezzature pesanti).
    2. Il fumo. Le persone che fumano hanno più probabilità rispetto alle persone che non fumano ad avere mal di schiena.
    3. Il sovrappeso. Il peso corporeo in eccesso, soprattutto quando si concentra nella zona addominale, può mettere a dura prova la schiena. Essere in sovrappeso spesso significa anche essere in condizioni fisiche peggiori, ovvero avere una muscolatura più debole e in generale un corpo meno flessibile: tutti ingredienti che possono contribuire al mal di schiena.
    4. La postura sbagliata. Di per se una postura sbagliata difficilmente può essere la causa del mal di schiena. Ma dopo che la schiena ha subito un primo trauma e comincia a darci dei segnali, la cattiva postura può peggiorare il dolore. Tenere “una buona postura” significa che orecchie, spalle e fianchi sono posizionati lungo una linea retta. Se questa posizione provoca dolore, e tendiamo a cercare una posizione di compensazione, alla base del dolore (che cerchiamo di evitare) potrebbe esserci un altro problema, ad un disco della colonna o alle ossa della schiena.
    5. Lo stress. Lo stress così come altri fattori emotivi possono svolgere un ruolo importante nella genesi del dolore lombare, in particolare quando è cronico. Molte persone, infatti, inconsciamente contraggono i muscoli della schiena quando sono sotto stress. Inoltre, tra stress e dolore può innescarsi un circolo vizioso: anche il mal di schiena cronico può essere una condizione stressante e portare ad uno stato di depressione.

    Mal di schiena: 5 consigli per prevenirlo

    1. Primo consiglio, fai prevenzione. Non c’è modo di arrestare l’età che avanza, ma sicuramente ci sono una serie di accorgimenti che possono ridurre il rischio di soffrire di mal di schiena:
      • Mantieni un peso nella norma
      • Fai esercizio fisico
      • Solleva i pesi facendo leva sulle gambe e non sulla schiena
      • Assicurati che la tua postazione lavorativa non stia contribuendo al tuo mal di schiena
    1. Secondo consiglio: abbatti lo stress. Ridurre lo stress sicuramente migliora la tua salute generale e la qualità della tua vita. Come? Puoi provare con l’esercizio fisico mirato, lo yoga, la meditazione, il buon sonno. Anche la respirazione lenta e profonda può aiutare. Così come tenere a mente le attività che ti piacciono o che ti fanno sentire meglio: saranno sempre a portata di mano quando lo stress sta per superare i livelli di guardia.
    2. Terzo consiglio, muoviti. L’attività fisica regolare, a bassa intensità, come ad esempio camminare, è uno dei migliori trattamenti per il mal di schiena. Aiuta a diminuire la rigidità, a ridurre lo stress, può aumentare il senso di controllo sul dolore e aiutare a dormire meglio.
    3. Quarto consiglio, rafforza la schiena. Per rafforzare la parte bassa della schiena ci sono due i tipi di allenamento adatti: gli esercizi di flessione per allungare i muscoli della schiena e dei fianchi e quelli di estensione per sviluppare i muscoli che sostengono la colonna vertebrale. Non tutti gli esercizi sono adatti a tutti i mal di schiena, ci sono alcuni esercizi che non dovreste fare in funzione, per esempio, della causa che ha determinato il tuo mal di schiena: assicurati di parlarne con il medico per capire insieme quale allenamento è sicuro nel tuo caso.
    4. Quinto consiglio, fai Yoga. Se il mal di schiena non migliora, alcuni studi mostrano come la pratica dello yoga possa diventare vostra alleata, per ridurre i sintomi, con benefici che durano anche a lezioni concluse. Lo stretching funziona altrettanto bene. Assicurati che il tuo istruttore abbia esperienza di insegnamento a persone con mal di schiena, in questo modo saprà sicuramente adattare le posizioni alla tua situazione, se necessario.
  • Esercizi per ridurre l’incontinenza in caso di osteoporosi

    Un recente studio, pubblicato su Menopause, rivista della North American Menopause Society, ha mostrato come un semplice allenamento costante dei muscoli del pavimento pelvico possa ridurre significativamente gli episodi incontinenza, in donne con osteoporosi.

    Mature woman practicing pilates

    “Le donne con osteoporosi sono più a rischio di incontinenza urinaria perché le possibili fratture della colonna a livello lombare possono determinare una maggiore pressione sul pavimento pelvico”, spiega Chantale Dumoulin, della University of Montreal, a capo della ricerca.

    Anche se il rafforzamento dei muscoli del pavimento pelvico è ampiamente prescritto come strumento per la prevenzione dell’incontinenza urinaria nelle donne, questa è stata la prima ricerca a valutarne l’uso in donne anziane con osteoporosi e incontinenza.

    Esercizi per ridurre l’incontinenza: i dati dello studio

    Lo studio randomizzato controllato ha valutato l’efficacia di 12 sessioni settimanali di terapia fisica in donne con osteoporosi o densità minerale ossea bassa sul disturbo dell’incontinenza urinaria, confrontandoli con un intervento di controllo in cui era previsto solo materiale informativo sull’osteoporosi.

    I dati hanno mostrato come in 46 ​​donne in post-menopausa con osteoporosi o bassa densità ossea ed episodi occasionali di incontinenza, questi ultimi fossero ridotti del 75 per cento nel gruppo di pazienti alle quali erano state prescritte 12 sessioni settimanali di terapia basata su esercizi fisici. Questo gruppo di donne è stato confrontato con un gruppo di controllo di donne simili che non hanno seguito alcun programma di allenamento e che non hanno visto alcun miglioramento.
    A distanza di un anno, le 23 donne che hanno effettuato tre mesi di esercizi per il potenziamento del pavimento pelvico hanno mantenuto il miglioramento ottenuto, mentre l’incontinenza è peggiorata nelle 23 donne del gruppo di controllo, che ha ricevuto solo informazioni circa l’osteoporosi.

    Lo studio ha semplicemente proposto un programma di allenamento con una sessione di un’ora di terapia fisica per rafforzare i muscoli del pavimento pelvico, seguiti da sessioni settimanali di 30 minuti per 11 settimane.

    Il messaggio più importante che arriva da questo studio è che le donne che soffrono di osteoporosi più delle altre dovrebbero fare esercizi per rafforzare i muscoli del pavimento pelvico, anche se non hanno episodi di incontinenza. Si tratta di un prezioso strumento alla portata di tutti, che può prevenire l’incontinenza e bilanciare la maggiore pressione che le fratture della colonna lombare potrebbero causare sul pavimento pelvico.

    Fonte: Sran M, Mercier J, Wilson P, Lieblich P, Dumoulin C. Physical therapy for urinary incontinence in postmenopausal women with osteoporosis or low bone density: a randomized controlled trial. Menopause. 2016 Mar;23(3):286-93. doi: 10.1097/GME.0000000000000594.
  • Il sonno nel bambino e nell’adolescente: ci piace sognare

    sonno bambini adolescenti

    Sono stati presentati oggi 23 febbraio 2016 i risultati del Progetto “Ci piace sognare”, che ha valutato le caratteristiche del sonno nel Bambino e nell’Adolescente.

    Presso la Sala “Aldo Moro” della Camera si sono dati appuntamento medici, pediatri ed esperti nell’ambito dello sviluppo psicofisico dei bambini e della diagnosi e terapia delle malattie infantili.

    Tra i relatori della conferenza stampa ha preso parte l’On. Michela Vittoria Brambilla, Presidente della Commissione Bicamerale per l’Infanzia e l’Adolescenza. “Ringrazio la Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale e la Società Italiana delle Cure Primarie Pediatriche”, ha dichiarato, “per aver indagato un aspetto della vita dei nostri bambini e dei nostri ragazzi importantissimo, ma poco considerato anche dalle famiglie. Anche i più giovani risentono dei ritmi frenetici e delle sollecitazioni tipiche della civiltà moderna e spesso non riescono a riposare come e quanto dovrebbero, con effetti negativi sull’umore, la capacità di concentrazione e il rendimento scolastico. Un giusto equilibrio tra ore di sonno e ore di veglia e un sonno di buona qualità sono le premesse per un sano sviluppo della persona”.

    La Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS) e la Società Italiana delle Cure Primarie Pediatriche (SICuPP) hanno elaborato il progetto che ha indagato la durata del sonno e le abitudini individuali e familiari correlate in una popolazione di età compresa tra 1 e 14 anni evidenziando, tra l’altro, differenze tra le varie regioni italiane.

    “111 i pediatri italiani coinvolti, 2.030 bambini esaminati tra Nord; Centro e Sud”, ha spiegato il Dottor Giuseppe Di Mauro, presidente della SIPPS, “con il duplice scopo di raccogliere dati finora mancanti e fornire materiale educativo ai genitori sulle corrette abitudini al sonno nelle varie età pediatriche, preparato specificamente per questo progetto e base per un intervento educativo mirato ove necessario”.

    “Fattore qualificante dello studio”, ha detto il Dottor Paolo Brambilla, Pediatra di Famiglia, responsabile del progetto “Ci piace sognare” assieme ai colleghi Angela Pasinato e Marco Giussani , “è stato quello di affidare l’indagine al Pediatra di Famiglia, che ben conosce le caratteristiche del proprio assistito e delle sua famiglia e che ha potuto raccogliere dati non influenzati dalla presenza di patologie acute o croniche. Sono state evidenziate, inoltre, le relazioni tra caratteristiche del sonno e obesità, abitudini alimentari, uso dei media e abitudine alla lettura. Il nostro compito è stato quello di aiutare i genitori a compilare un questionario, che indagava la durata e le caratteristiche del sonno e le abitudini serali dei loro piccoli”.

    Sonno nel bambino e nell’adolescente: in pratica

    Nel 2015 la National Sleep Foundation (NSF) Americana ha aggiornato le proprie raccomandazioni sulla durata del sonno nelle varie età pediatriche:

    • 11-14 ore tra 1 e 3 anni
    • 10-13 ore tra 3 e 5 anni
    • 9-11 ore tra 6 e 13 anni

    Dai dati del Progetto emerge che solo il 68,4% dei bambini tra 1 e 14 anni dorme in modo adeguato secondo le più recenti raccomandazioni, con una percentuale maggiore al Nord (72,9%) rispetto al Sud (62,8%) e in generale più bassa tra 10 e 13 anni (51,7%).

    Interessante notare anche il luogo dove il bambino prende sonno. Alla domanda “Dove ti addormenti?”, risulta che solo il 47% dei bambini di età compresa tra 1 e 2 anni si addormenta nel proprio letto. Questa percentuale sale progressivamente con l’età, arrivando all’87% a 10-13 anni. I bambini che si addormentano nel lettone (ben il 39% a 1-2 anni) si riducono con il crescere dell’età, ma sono comunque ancora il 26% a 5-6 anni e il 20% a 7-9 anni. Un 10% circa di bambini ad ogni età si addormenta in un’altra stanza (ad esempio sul divano in salotto).

    Il Progetto mette inoltre in luce come il 20% dei bambini di età 5-6 anni e il 17% di età 7-9 anni trascorra la maggior parte della notte nel letto dei genitori.

    Complessivamente il 13,1% dei bambini cambia letto durante la notte: la maggioranza va dal proprio a quello dei genitori, ma c’è anche chi compie il percorso inverso. Il fenomeno non è esclusiva dei più piccoli. “Insomma”, ha proseguito il Dottor Brambilla, “nelle case italiane durante la notte c’è un certo traffico!”.

    Circa il 27% dei bambini beve nell’imminenza di addormentarsi, prevalentemente latte nei primi anni di vita ma anche succo di frutta. Bere prima di addormentarsi è risultata un’abitudine legata a una minore durata del sonno. Un dato curioso è quello che riguarda l’uso del biberon per addormentarsi: ovviamente è molto frequente nei piccoli (31% a 1-2 anni e 17% a 3-4 anni) ma il biberon è usato ancora dal 5% dei bambini tra i 5 e i 6 anni.

    Ma quali sono le principali abitudini per addormentarsi? TV, videogiochi, tablet e PC la fanno da padroni. “Ciò che emerge”,  ha sottolineato la Dottoressa Marina Picca, Presidente SICuPP, “è che si legge davvero poco: basti pensare che il 65% dei bambini nella fascia d’età compresa tra i 3 ed i 4 anni utilizza la TV o un altro video per dormire. Percentuale che scende vertiginosamente al 48% quando si tratta di sfogliare le pagine di un libro. La percentuale dei bambini che usa la TV o un altro video per addormentarsi sale al 72% tra i 5 ed i 9 anni e al 79% tra 10 e 13 anni, ma il dato che maggiormente preoccupa è che sia già il 40% tra 1 e 2 anni. La durata del sonno è risultata minore quando il bambino guarda un video prima di addormentarsi o ha la TV nella propria camera”.

    “Il sonno”, ha concluso il Dottor Luca Bernardo, Responsabile rapporti con Enti e Istituzioni della SIPPS, “è un aspetto essenziale per il benessere psicofisico del bambino ed importanti sono le implicazioni cliniche qualora un bimbo dorma in modo inadeguato dal punto di vista quantitativo e/o qualitativo. Tuttavia, nessuno studio di popolazione era stato effettuato fino ad oggi in Italia e le nostre conoscenze si basavano su esperienze internazionali. Credo che il Progetto “Ci piace sognare” meriti davvero un’attenzione particolare”.

    Fonte:unilife.
  • Artrosi del ginocchio: colpito un italiano su due sopra i 65 anni

    L’artrosi è una malattia che colpisce, uomini e donne, generalmente il 50 % della popolazione sopra i 65-70 anni. In quanto malattia degenerativa, l’artrosi è una malattia che colpisce tutti, con una maggiore percentuale nei soggetti femminili: su dieci pazienti solo due sono di sesso maschile.artrosi del ginocchio: fisioterapista

    L’artrosi del ginocchio è causa di un dolore molto intenso e di deformità: questi due problemi rappresentano, per chi ne è affetto, una grave limitazione, al punto che il paziente cammina sempre di meno, si chiude in casa, sino all’annullamento della propria vita.
    L’artrosi è una malattia che colpisce, uomini e donne, generalmente il 50 % della popolazione al di sopra dei 65-70 anni. Sono in aumento, inoltre, i soggetti che, a causa di una condotta sportiva intensa, si ritrovano in questa situazione di degenerazione in età più giovanile, tra i 55 e i 65 anni, più frequentemente tra i maschi.

    Artrosi del ginocchio: il trattamento prechirurgico

    La risoluzione della problematica è impossibile se non si interviene chirurgicamente. Ma prima che questa malattia passi nelle mani del chirurgo, il paziente deve seguire una terapia come da malattia cronica degenerativa, attraverso l’uso di farmaci, la fisioterapia e appositi trattamenti medicamentosi infiltrativi. Questa comporta una riduzione dei sintomi, ma non la guarigione, perché al momento una terapia che faccia riprodurre la cartilagine, la cui mancanza causa l’artrosi, non c’è.

    “Dopo anni di trattamento non chirurgico con lo scopo di preservare la cartilagine”, spiega l’ortopedico Mario Manili Socio SIOT e Consulente presso il Centro Chirurgico Toscano di Arezzo e la Clinica Villa del Rosario di Roma, “il paziente chiede al chirurgo di  cambiare strategia. Purtroppo non è possibile intervenire subito con la protesi, perché queste hanno una durata di circa 20 anni, a seconda dell’uso che se ne fa. Si presuppone, quindi, che un intervento del genere a 70 anni non richiederà successivamente una revisione, mentre a 50 anni un successivo miglioramento è altamente probabile.

    Artrosi del ginocchio: i consigli 

    In quanto malattia degenerativa, l’artrosi è una malattia che colpisce tutti, con una maggiore percentuale nei soggetti femminili: su dieci pazienti solo due sono di sesso maschile. Questo perché le donne hanno l’osteoporosi, quindi una decalcificazione ossea, e questo connubio aumenta il dolore e quindi la richiesta d’intervento del medico.

    Per gli sportivi si consiglia di compensare l’eccessivo carico con degli atteggiamenti di protezione (ginnastica fuori carico, attività in acqua, stretching, preparazione al gesto sportivo) e una particolare attenzione al peso. E’ sconsigliabile intervenire precocemente con la protesi, utilizzare farmaci non ufficialmente riconosciuti, fare uso eccessivo di antiinfiammatori, che hanno un effetto ipertensivo e gastrolesivo.

    Fonte:Unilife.
  • La (dis)informazione sui vaccini: una sfida da vincere

    I vaccini sono fra le scoperte scientifiche più importanti per il genere umano, eppure continuano a essere guardati con sospetto da una parte dell’opinione pubblica. L’impatto delle vaccinazioni sulla riduzione della mortalità è secondo solo all’approvvigionamento di acqua potabile, e la prevenzione delle malattie limita i costi degli interventi di cura consentendo risparmi nell’ordine di miliardi nei Paesi in cui le malattie sono sotto controllo o debellate. L’immunizzazione di routine dei bambini è considerata uno degli invaccino2terventi più efficaci in materia di salute, perché, oltre a proteggere il singolo individuo, garantisce anche la cosiddetta “immunità di gregge”. Eppure, ormai da anni, si registra una ingiustificata e preoccupante resistenza di alcuni genitori, nonostante siano noti rischi derivanti dalle malattie prevenibili attraverso la vaccinazione e nonostante le rassicurazioni delle Autorità sanitarie sulla sicurezza e l’efficacia dei vaccini.

    La resistenza è in gran parte dovuta alle campagne anti-vaccino che imperversano sul web e su riviste e libri di discutibile valore scientifico. Tali fonti di (dis)informazione mettono in dubbio la sicurezza e il valore delle vaccinazioni, soprattutto quelle dei bambini. I social network sono un terreno di scambio di informazioni sulla saluteed è molto difficile orientarsi tra le tante notizie disponibili e distinguere quelle corrette da quelle create per generare confusione e per portare avanti interessi, che nulla hanno a che vedere con la salute dei cittadini.

    Recentemente, negli USA, una massiccia campagna di comunicazione contro la vaccinazione, condotta anche tramite il web con dei siti dedicati al tema, ha evidenziato che un numero sempre più alto di genitori si dichiara pronto a non garantire neanche la copertura vaccinale contro il morbillo e la pertosse esponendo così i propri figli a gravi rischi.

    Al fine di combattere questa disinformazione sul web, un team di ricercatori dell’Università di San Diego ha condotto un’analisi approfondita su 480 siti web impegnati in una campagna di informazione/comunicazione contro la vaccinazione.

    Il quadro che è emerso è allarmante anche in riferimento agli strumenti di persuasione utilizzati per manipolare l’informazione e orientare gli utenti verso altre forme di “protezione” della salute.

    Entrando nello specifico, emerge che in circa due terzi dei 480 siti web monitorati, sono presenti informazioni e dichiarazioni sulla pericolosità dei vaccini, e in una percentuale simile è molto accentuato il riferimento alla presunta correlazione fra autismo e utilizzo dei vaccini. Su questo ultimo aspetto, la ricerca ha dimostrato che non esiste alcuna evidenza scientifica di una correlazione fra i vaccini e l’autismo. In particolare, in oltre 15 anni di studi non è stato trovato alcun legame tra il vaccino trivalente morbillo-parotite-rosolia e i disturbi dello spettro autistico.

    Dall’analisi è inoltre emerso che il 28% di questi siti afferma falsamente che i vaccini sono inefficaci, mentre il 43% lancia allarmi su possibili effetti collaterali molto gravi quali ad esempio danni al cervello. La maggior parte dei siti (l’82%) afferma che le Autorità sanitarie non hanno a cuore il benessere dellapopolazione e molti incoraggiano la diffidenza verso le Istituzioni suggerendo addirittura che vi sia la complicità di molti medici e scienziati accreditati.

    In questi siti web è quasi impossibile trovare contenuti equilibrati, a giudicare dalla quantità dei commenti presenti, al di fuori di ogni rigore scientifico, dei più accesi sostenitori anti-vaccino.

    Un “caso studio” molto dibattuto in questa sorta di mondo parallelo è stato il post che Mark Zuckerberg ha pubblicato sul proprio profilo Facebook, a inizio gennaio, sull’imminente vaccinazione della figlia di due mesi. Questo messaggio (Doctor’s visit – time for vaccines!) ha riscosso un grande apprezzamento da parte di genitori e operatori sanitari, anche per il fatto di aver reso pubblica una scelta di carattere personale. Pur se esplicitamente non viene sostenuta la campagna a favore delle vaccinazioni, il post potrebbe incoraggiare i genitori a vaccinare i propri bambini, specialmente nella California del Nord, che rappresenta un focolaio del sentimento anti-vaccinazione e che ha registrato un alto tasso di crescita di malattie come il morbillo e la pertosse.

    Secondo lo studio “Vaccination Coverage Among Children in Kindergarten”, condotto in  49 Stati degli USA (più il District of Columbia) nell’anno scolastico 2013-2014, il tasso di copertura vaccinale è stato di circa il 95% e da ciò possiamo dedurre che la maggior parte dei genitori statunitensi approva ciò che Zuckerberg e sua moglie Priscilla Chan hanno fatto: vaccinare la propria figlia contro le malattie.

    Immediatamente dopo la pubblicazione del post, sui siti di riferimento del mondo anti-vaccino si è acceso il dibattito e il fondatore di Facebook, ridicolizzato al pari della moglie, è stato accusato di mettere a repentaglio la vita della figlia con argomenti propri della scienza spazzatura e ipotesi di complotto da parte di Big Pharma e CIA.

    Il fatto che il post di Zuckerberg abbia provocato discussioni così accese fa capire quanto siano allarmanti e pericolosi gli effetti dei movimenti anti-vaccini.

    Dal punto di vista della salute pubblica, tutto questo conta molto. La comunità scientifica deve essere consapevole di quali messaggi giungano ai genitori e degli strumenti e delle strategie di persuasione adottate, per poter fronteggiare questa disinformazione e rassicurare i cittadini con la forza delle evidenze scientifiche e dei dati che dimostrano in modo inequivocabile la sicurezza, l’efficacia e la qualità dei vaccini e la loro importanza nella prevenzione di malattie anche gravi. Ma non è così semplice.

    Infatti, uno studio pubblicato nel febbraio 2014 sulla rivista Pediatrics ha dimostrato che alcuni messaggi veicolati a sostegno delle vaccinazioni possono avere esattamente l’effetto opposto sui genitori resistenti, perché la comprensione passa attraverso la loro visione distorta. Lo studio è stato condotto su 1.759 genitori ed è emerso un reale “effetto boomerang” per le campagne a sostegno dei vaccini: i partecipanti allo studio che erano scettici lo sono diventati ancora di più dopo aver ricevuto le informazioni.

    Quindi la grande sfida che si presenta è riuscire a contrastare il propagarsi di questa diffidenza per le vaccinazioni, con un’informazione e una comunicazione autorevoli e fondate su evidenze scientifiche e dati oggettivi e con strategie di comunicazione e strumenti appropriati.

    L’Agenzia Italiana del Farmaco è da sempre attenta a queste tematiche e più volte si è espressa sull’importanza delle pratiche di immunizzazione, partendo dalla consapevolezza che la vaccinazione rappresenta anzitutto una conquista culturale e che è necessario essere in grado di comunicare questi contenuti scientifici a una platea sempre più ampia della popolazione.

    Fonte:Aifa.
  • Una notte di sonno aiuta il cervello a ricordare

    Una notte di sonno aiuta il cervello a ricordareAvere la possibilità di dormire per otto ore migliora la memoria di “riconoscimento”, ovvero quella che aiuta ad associare volti e nomi. Lo spiegano sulle pagine della rivistaNeurobiology of learining memory i ricercatori coordinati da Jeanne Duffy, neuroscienziata che si occupa di disturbi del sonno eritmi circadiani al Brigham and women’s Hospital di Boston.

    «Sappiamo che il sonno ha un effetto positivo su diversi tipi di memoria, ma ad oggi non ci sono dati chiari su quanto una notte di sonno possa influenzare la capacità di associare in modo corretto nuovi nomi e volti» spiega la ricercatrice che assieme ai colleghi ha coinvolto nello studio 14 giovani adulti. «Abbiamo mostrato ai partecipanti 20 fotografie di persone sconosciute e associato ad esse un nome» afferma Duffy, «dopo 12 ore abbiamo ripresentato due volte le foto e i nomi, una volta con l’associazione corretta e una sbagliata, chiedendo se gli abbinamenti fossero esatti».
    Il test è stato ripetuto per due volte: in un caso i partecipanti hanno avuto la possibilità di dormire per otto ore nelle 12 ore tra una visualizzazione delle foto e l’altra, mentre nel secondo caso tra una visualizzazione e l’altra era richiesto di restare svegli. E i dati dimostrano che dopo il sonno i partecipanti hanno abbinato in modo corretto facce e nomi con un miglioramento del 12 per cento rispetto a quando sono rimasti svegli.

    «La durata e la profondità del sonno non hanno influenzato le capacità di abbinare nomi e volti» spiega l’autrice sottolineando che servono altre ricerche per valutare se questi fattori sono importanti o meno. «Il sonno è fondamentale per imparare e fissare nuove informazioni» continua Duffy, «con l’invecchiamento il sonno tende ad essere meno prolungato e più disturbato e questo potrebbe creare problemi di memoria».

    Fonte: Dica33.

  • Influenza

    L’influenza è la principale causa di assenza dal lavoro e da scuola ed è ancora oggi la terza causa di morte in Italia per patologia infettiva

    Immagine raffigurante una ragazza con il raffreddore

    L’influenza è una malattia provocata da virus (del genere Orthomixovirus) che infettano le vie aeree (naso, gola, polmoni). È molto contagiosa, perché si trasmette facilmente attraverso goccioline di muco e di saliva, anche semplicemente parlando vicino a un’altra persona. I sintomi che all’inizio la caratterizzano possono essere molto variabili, dal semplice raffreddore al mal di testa, dall’infiammazione della gola alla bronchite, ai dolori osteo-articolari. Nei bambini si osservano più frequentemente vomito e diarrea, negli anziani debolezza e stato confusionale.

    L’influenza costituisce un importante problema di Sanità Pubblica a causa della ubiquità, contagiosità, e variabilità antigenica dei virus influenzali, dell’esistenza di serbatoi animali e delle possibili gravi complicanze. Frequente motivo di consultazione medica e di ricovero ospedaliero, e principale causa di assenza dal lavoro e da scuola, l’influenza è ancora oggi la terza causa di morte in Italia per patologia infettiva, preceduta solo da AIDS e tubercolosi.

    A ciò va aggiunto che i sintomi dell’influenza sono simili a quelli di molte altre malattie; pertanto termine “influenza” viene spesso impropriamente attribuito ad affezioni delle prime vie aeree, di natura sia batterica che virale; ciò porta a due risultati contrastanti: da una parte viene minimizzato il ruolo dell’influenza come causa di morbosità e mortalità e, dall’altra, il trattamento e l’ospedalizzazione di soggetti con malattie simili all’influenza portano ad aumento dei costi assistenziali e dei ricoveri impropri.

    In Italia, l’andamento stagionale delle Sindromi simili all’Influenza è rilevato attraverso la rete di medici sentinella Influnet.

    COME SI TRASMETTE

    L’influenza è una malattia molto contagiosa, che si trasmette facilmente attraverso goccioline di muco e di saliva, anche semplicemente parlando vicino a un’altra persona.
    La trasmissione può avvenire anche per per via indiretta attraverso il contatto con mani contaminate dalle secrezioni respiratorie.

    I pazienti sono già contagiosi durante il periodo d’incubazione, prima della manifestazione dei sintomi.
    Una persona adulta può trasmettere il virus da 3 a 7 giorni dopo l’inizio della malattia.
    I bambini invece sono contagiosi più a lungo.

    L’influenza si diffonde più facilmente nelle collettività, quali quelle scolastiche, frequentate da ragazzi e giovani, che sono più suscettibili di contrarre l’infezione.
    Le persone adulte e gli anziani, oltre ad essere stati più esposti alla circolazione dei virus influenzali nelle passate stagioni epidemiche, hanno avuto anche modo di essere sottoposti più frequentemente a vaccinazione antinfluenzale.

    SINTOMI E SEGNI

    I sintomi dell’influenza sono comuni a molte altre malattie:

    • febbre (generalmente accompagnata da brividi)
    • mal di testa
    • malessere generale
    • mancanza di appetito
    • dolori ai muscoli e alle articolazioni
    • sintomi respiratori (tosse, mal di gola, congestione nasale)
    • congiuntivite.

    Soprattutto nei bambini si possono manifestare anche sintomi a carico dell’apparato gastro-intestinale (nausea, vomito, diarrea).

    COMPLICANZE

    Le complicanze dell’influenza vanno dalle bronchiti, broncopolmoniti e polmoniti virali e batteriche, alla disidratazione, al peggioramento di malattie preesistenti (ad esempio malattie croniche dell’apparato cardiovascolare o respiratorio), alle sinusiti e alle otiti (queste ultime soprattutto nei bambini).

    DIAGNOSI

    La diagnosi di influenza si basa comunemente sui sintomi clinici ma la certezza può essere raggiunta solo con l’isolamento del virus influenzale che, però, non viene effettuata, se non nell’ambito di studi scientifici.

    TERAPIA

    La terapia dell’influenza, non complicata da sovrapposizioni batteriche, è essenzialmente di tipo sintomatico.
    Essendo la malattia di natura virale, infatti, non esistono farmaci specifici. Possono essere di ausilio gli antipiretici (abbassano la febbre) e gli antidolorifici (attenuano il dolore) per il mal di testa e i dolori osteomuscolari.
    Utile il riposo a letto, evitare gli sbalzi di temperatura e l’esposizione alle basse temperature.

    Per quanto riguarda la terapia delle complicanze batteriche, come le broncopolmoniti, polmoniti ecc., sarà il medico a valutare il trattamento più opportuno, soprattutto se si tratta di pazienti “a rischio” (anziani, bambini piccoli, pazienti con deficit immunitario ecc. ).
    In questi casi è utile eseguire una coltura sull’espettorato, per identificare l’agente eziologico, iniziando però, subito dopo la raccolta dell’espettorato, la somministrazione di un antibiotico ad ampio spettro, che potrà eventualmente essere sostituito sulla base delle indicazioni fornite dall’antibiogramma.

    PREVENZIONE

    La vaccinazione antinfluenzale è sicura e efficace

    Per prevenire l’influenza, efficace è il vaccino specifico antinfluenzale, da effettuare a partire da metà di ottobre fino afine dicembre.
    La protezione indotta dal vaccino comincia 2 settimane dopo l’inoculazione e perdura per un periodo di 6-8 mesi, poi tende a declinare.
    Per tale motivo, e perché possono cambiare i ceppi in circolazione, è necessario sottoporsi a vaccinazione antinfluenzale all’inizio di ogni nuova stagione influenzale.
    La vaccinazione è offerta gratuitamente ad alcune categorie di soggetti a rischio, individuate nella Circolare emanata annualmente dal Ministero della salute.
    Per approfondire leggi la scheda sulla vaccinazione antinfluenzale.

    Le misure di igiene personale aiutano a prevenire l’infezione

    Ci sono, comunque, alcune semplici azioni che aiutano a prevenire la diffusione di malattie infettive in generale, e quelle che si trasmettono per via aerea come l’influenza,

    Coprire naso e bocca con un fazzoletto (possibilmente di carta) quando si tossisce e starnutisce e gettare immediatamente il fazzoletto usato nella spazzatura o nella biancheria da lavare.

     

     

    Lavare spesso le mani con acqua e sapone, e in particolare dopo avere tossito e starnutito, o dopo avere frequentato luoghi e mezzi di trasporto pubblici; se acqua e sapone non sono disponibili, possibile usare in alternativa soluzioni detergenti a base di alcol.

     

    Evitare di toccare occhi, naso e bocca con le mani non lavate; i germi, e non soltanto quelli dell’influenza, si diffondono in questo modo.

     

     

    Rimanere a casa se malati, evitando di intraprendere viaggi e di recarvi al lavoro o a scuola, in modo da limitare contatti possibilmente infettanti con altre persone, nonché ridurre il rischio di complicazioni e infezioni concomitanti (superinfezioni) da parte di altri batteri o virus.

     

    I farmaci antivirali, solo in casi particolari

    Sono, inoltre, disponibili farmaci antivirali dotati di azione specifica contro i virus influenzali; il loro impiego a scopo preventivo, però, è riservato a situazioni particolari, ovvero alle persone, in cui l’influenza rappresenta un alto rischio, ma non è possibile utilizzare il vaccino a causa di controindicazioni.

    Fonte: salute.gov.it
  • Salute e benessere: come si percepiscono le donne

    Maggiore attenzione a stili di vita corretti sul fronte dell’alimentazione (57%), del movimento (47%) e della prevenzione (62%), ma anche una minore soddisfazione in merito al proprio stato di salute, sia dal punto di vista fisico che psicologico e mentale. Questi alcuni dei risultati dell’indagine promossa da Onda in occasione del suo decennale, per rilevare come sia cambiata negli ultimi dieci anni la percezione che le donne hanno del proprio benessere.donne-1024x527

    Oggi, come nel 2006, la salute rimane lo scopo primario nella vita delle italiane. Per il 69% delle donne il benessere rappresenta una priorità, ma per quanto facciano di più rispetto al passato per stare bene, solo il 46% è soddisfatto (70% nel 2006) della gestione della propria salute e 2 su 3 (67%) vorrebbero poter fare di più. Questo il profilo della donna italiana che emerge da un’indagine promossa dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda) su un campione di 800 nostre connazionali di età compresa tra i 18 e i 64 anni, con l’obiettivo di analizzare come sia evoluto a distanza di 10 anni il rapporto femminile con il proprio benessere. I dati della survey, che replica un’analoga ricerca svolta da Onda nel 2006, sono stati presentati questa mattina in conferenza stampa, in occasione del decennale dell’Osservatorio.

    Secondo quanto emerso dall’indagine, molti sono stati i risultati raggiunti e, rispetto a dieci anni fa, si evidenzia un generale miglioramento degli stili di vita corretti: le donne curano molto di più la propria alimentazione (57%), ritenuta un elemento importante per mantenere un buono stato di salute, e svolgono maggiore attività fisica: oggi quasi la metà delle intervistate la pratica regolarmente (47%). Inoltre, appaiono molto più sensibilizzate e vicine al concetto di prevenzione, sia dal punto di vista dichiarato che pratico: il 49% afferma, infatti, di fare prevenzione (rispetto al 44% del 2006), mentre il62% (rispetto al 48% del 2006) si sottopone a controlli e visite anche in assenza di malattie o problematiche specifiche. A tale proposito, dalla survey risulta che le principali barriere che ostacolano un’efficace attività di prevenzione sono il costo delle prestazioni(63%) e la scarsa informazione sugli esami di screening da effettuare (24%).  Inaumento anche il ruolo della donna comecaregiver: 3 su 4, infatti, si occupano del benessere di almeno un familiare, pur percependo verso di sé meno supporto da parte della propria famiglia, utilizzando soprattuttoInternet come principale fonte di informazioni e aggiornamenti sui temi di salute (65% contro l’8% del 2006).

    I risultati dell’indagine mostrano quindi un miglioramento del rapporto delle italiane con il proprio benessere non ancora privo, però, di elementi negativi: oggi le donne, rispetto alla precedente rilevazione del 2006, si dichiarano, infatti, meno soddisfattedel proprio stato di salute sia dal punto di vista fisico (23% sono poco e per nulla soddisfatte, di contro il 17% nel 2006), sia da quello psicologico e mentale (14% poco o per nulla soddisfatte rispetto al 10% nel 2006). In particolare, lo stress e i problemi psichici sono i principali disturbi che affliggono le intervistate.

    Tra le criticità emerse dalla ricerca, il 44% ritiene insufficienti i servizi offerti dal Servizio Sanitario Nazionale e simili percentuali diinsoddisfazione si riscontrano anche rispetto all’attenzione alle esigenze femminili da parte di ospedali eIstituzioni (rispettivamente il 46% e il 47%). Proprio in merito a questi aspetti, Onda, da sempre impegnata sul fronte della promozione di una cultura della medicina di genere, dal 2007 premia con l’assegnazione di Bollini Rosa gli ospedali italiani che offrono servizi dedicati alla prevenzione, diagnosi e cura delle principali patologie femminili, riservando particolare attenzione alle specifiche esigenze dell’utenza rosa.

    “La nascita di Onda – afferma Francesca Merzagora, cofondatrice e Presidente Onda – ha rappresentato una grande sfida con l’obiettivo di promuovere la medicina di genere richiamando l’attenzione a tutti i livelli sulle principali patologie femminili. Molti risultati sono stati raggiunti: dai dati emersi dall’indagine, rispetto a quella svolta dieci anni fa, si evidenzia un miglioramento degli stili di vita corretti (alimentazione e movimento, ormai praticato abitualmente dal 47% delle donne) e una maggiore attenzione alla prevenzione, messa in atto dal 62% delle intervistate. Tumori (55%), disturbi psichici e stress (39%), malattie neurodegenerative (25%) e malattie cardiovascolari (18%) sono le principali preoccupazioni di salute delle italiane. Molto ancora resta da fare: per migliorare la percezione delle donne sul grado di attenzione delle Istituzioni nei confronti della loro salute e sui servizi offerti dal Servizio Sanitario Nazionale (il 44% non li ritiene sufficienti), per aumentare il loro livello di soddisfazione sulla gestione del proprio benessere (dal 70% del 2006 al 46% di oggi), per promuovere ulteriori campagne contro l’abitudine al fumo (ancora oggi 1 donna su 4 continua ad essere fumatrice). Occorre anche riflettere sul cambiamento radicale dell’approccio farmacologico: l’utilizzo esclusivo della medicina tradizionale passa dal 71% al 25%, a favore della medicina alternativa: a tale proposito, Onda sottolinea l’importanza per le patologie serie di non abbandonare un approccio terapeutico tradizionale. Interessante, inoltre, la curiosità delle donne italiane sulla loro salute, sfruttando in particolare Internet come mezzo preferenziale per reperire informazioni e aggiornamenti (dall’8% del 2006 al 65% di oggi)”.

    “I primi 10 anni di Onda sono trascorsi molto velocemente e tante sono state le iniziative compiute”, dichiara Alberto Costa, Vice Presidente Onda, chirurgo e senologo presso Gruppo Multimedica di Milano. “Personalmente ho avuto la fortuna di veder realizzato un sistema di valutazione degli ospedali attenti alle donne (il programma ‘Bollini Rosa’) e di vedere comparire finalmente in Internet un sito pieno di informazioni accurate e validate,  che posso consigliare  alle mie pazienti per qualsiasi problema di salute al femminile. L’augurio a Onda per il suo compleanno? Riuscire a concretizzare, nel prossimo decennio, un ospedale interamente dedicato alle patologie femminili, intersecando le competenze e le conoscenze della medicina con le diverse fasi della vita della donna, dalla pubertà all’età fertile, dalla menopausa alla senescenza”.

    “In questi primi 10 anni – sostiene Claudio Mencacci, Presidente della Società Italiana di Psichiatria e Direttore del Dipartimento di Neuroscienze e Salute Mentale dell’ASST Fatebenefratelli-Sacco di Milano – Onda ha dato un forte contributo nell’evidenziare la specificità di genere delle malattie mentali avvicinando le persone alle cure attraverso iniziative legate ai Bollini Rosa. Il forte impatto dello stress e dei disturbi psichici (1 intervistata su 4) che emerge dall’indagine è dovuto anche al ruolo multitasking della donna a conferma dei dati internazionali. Onda ha poi contribuito a evidenziare e mettere in rete i centri di eccellenza per la diagnosi e cura della depressione perinatale e a premiare gli Ospedali fortemente impegnati contro la violenza femminile”.

    “L’indagine presentata – conclude Marisa Porrini, Direttore Dipartimento Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l’Ambiente dell’Università degli Studi di Milano – mette in evidenza l’attenzione crescente rivolta dalle donne all’alimentazione e allo stile di vita, quali elementi primari per il mantenimento di un buono stato di salute. Nelle attività intraprese, Onda ha dedicato uno spazio anche a questi aspetti, focalizzando la necessità di sensibilizzare sempre più le donne alla prevenzione. A tal fine, un primo obiettivo è il più facile accesso ad informazioni corrette e fondate su evidenze scientifiche, sia per gli aspetti specifici di genere, sia per quelli più generali, legati al ruolo attivo da sempre svolto dalla donna nelle scelte alimentari per l’intera famiglia e la comunità. La cura nella definizione della dieta quotidiana e l’attenzione all’attività fisica devono essere supportati da grande attenzione e scelte consapevoli”.

    Fonte:Unilife
  • Virus Zika

    FEBBRE DA VIRUS ZIKA – TUTTE QUELLO CHE C’E’ DA SAPERE SU QUESTO VIRUS

    1. Dove è presente il virus Zika?C_17_canaleCittadino_237_paragrafi_paragrafo_0_immagine

    • Il virus Zika è presente nelle regioni tropicali, in grandi popolazioni di zanzare, circola in Africa, nelle Americhe, in Asia meridionale e nel Pacifico occidentale.Il virus Zika è stato scoperto nel 1947, ma per molti anni sono stati rilevati solo casi sporadici nell’uomo, in Africa e in Asia meridionale. Nel 2007, il primo focolaio documentato di malattia da virus Zika è occorso nel Pacifico. Dal 2013, casi e focolai di malattia sono stati segnalati dal Pacifico occidentale, dalle Americhe e dall’Africa.Data la diffusione ambientale delle zanzare, facilitata da urbanizzazione e globalizzazione, esiste la possibilità che si verifichino, a livello globale, grandi epidemie urbane di malattia da virus Zika.

    2. Come si trasmette il virus Zika?

    • Il virus si trasmette con la puntura di zanzare del genere Aedes, le stesse che trasmettono la dengue, la chikungunya e la febbre gialla

    3. Come si riproducono le zanzare Aedes?

    • Pungono solo le femmine; si alimentano a intermittenza e preferiscono pungere più di una persona. Una volta che la zanzara femmina si è completamente alimentata, necessita di riposare 3 giorni prima di deporre le uova. Le uova possono sopravvivere fino a 1 anno senza acqua. Una volta che l’acqua è disponibile e, sono sufficienti piccole quantità di acqua stagnante, le uova diventano larve e poi zanzare adulte. Le zanzare si infettano da persone portatrici del virus

    4. Può la zanzara Aedes viaggiare da paese a paese e da regione a regione?

    • La zanzara Aedes non può volare a più di 400 metri. Ma può inavvertitamente essere trasportata dall’uomo da un luogo ad un altro (ad esempio nei bagagliai delle macchine, con le piante). Se sopravvive al clima della destinazione, potrebbe in teoria essere in grado di riprodursi lì e di introdurre il virus Zika in nuove aree.

    5. Quali sono i sintomi di infezione da virus Zika?

    • Il virus Zika di solito provoca una forma lieve di malattia; i sintomi compaiono un paio di giorni dopo la puntura di una zanzara infetta. La maggior parte delle persone con malattia da virus Zika presenta febbricola e rash cutaneo, si possono presentare anche congiuntiviti, dolori muscolari e articolari, e astenia. I sintomi di solito scompaiono in 2-7 giorni.

    6. Quali potrebbero essere le possibili complicanze del virus Zika?

    • Poiché non si sono registrate grandi epidemie di virus Zika prima del 2007, si conosce poco attualmente sulle complicazioni della malattia.Durante il primo focolaio di Zika nel 2013 – 2014 nella Polinesia francese, che ha coinciso anche con un focolaio di dengue, le autorità sanitarie nazionali hanno riportato un insolito aumento della sindrome di Guillain-Barré. Sono in corso le indagini retrospettive in questo senso, compreso il ruolo potenziale del virus Zika e di altri possibili fattori. Un simile incremento di sindrome di Guillain-Barré si è verificato anche nel 2015, nel contesto del primo focolaio di virus Zika in Brasile.Nel 2015, le autorità sanitarie locali in Brasile hanno anche osservato un aumento di bambini nati con microcefalia, contemporaneamente a un focolaio di virus Zika. Le autorità sanitarie e le agenzie stanno ora indagando sul potenziale collegamento tra microcefalia e virus Zika, oltre ad altre possibili cause. Tuttavia sono necessarie ulteriori indagini e ricerche prima di essere in grado di capire il possibile collegamento.La Sindrome di Guillain-Barré è una condizione in cui il sistema immunitario attacca una parte del sistema nervoso. Essa può essere causata da un certo numero di virus e può colpire persone di qualsiasi età. Quello che innesca esattamente la sindrome non è noto. I sintomi principali sono debolezza muscolare e formicolio alle braccia e alle gambe. Gravi complicazioni possono verificarsi se sono colpiti i muscoli respiratori, che richiedono il ricovero in ospedale. La maggior parte delle persone affette da sindrome di Guillain-Barré guarisce, anche se alcuni possono continuare ad avvertire sintomi come la debolezza.

    7. Le donne gravide devono preoccuparsi del virus Zika?

    • Le autorità sanitarie stanno attualmente indagando sul potenziale legame tra virus Zika nelle donne in gravidanza e microcefalia nei loro bambini. Fino a quando non si saprà di più, le donne in gravidanza o che stanno pianificando una gravidanza dovrebbero fare molta attenzione e proteggersi dalle punture di zanzara.Le donne incinte che sospettano di avere la malattia da virus Zika, devono consultare il medico per un attento monitoraggio durante la gravidanza.

    8. Come si cura la malattia da virus Zika?

    • Il trattamento è sintomatico e consiste in farmaci per alleviare il dolore e la febbre, il riposo e bere tanta acqua. Se i sintomi peggiorano, consultare un medico. Non esiste un vaccino specifico contro il virus.

    9. Come viene diagnosticata la malattia da virus Zika?

    • Per la maggior parte delle persone con diagnosi di malattia da virus Zika, la diagnosi si basa sui sintomi e sull’anamnesi recente (quali punture di zanzara o viaggi in una zona affetta). Un laboratorio può confermare la diagnosi con esami del sangue.

    10. Che cosa posso fare per proteggermi?

    • La migliore protezione dal virus Zika è prevenire le punture di zanzara. Prevenire le punture di zanzara proteggerà le persone dal virus Zika, e da altre malattie che sono trasmesse dalle zanzare come la dengue, chikungunya e febbre gialla.Questo può essere fatto utilizzando un repellente per insetti; indossando abiti (preferibilmente di colore chiaro), che coprano il corpo il più possibile; utilizzando schermi a porte e finestre e dormendo sotto zanzariere. E’ anche importante mantenere vuoti e puliti, o coperti, contenitori che possono contenere anche piccole quantità di acqua come secchi, vasi da fiori o pneumatici, in modo che i luoghi in cui le zanzare si riproducono vengano rimossi.

    Fonte: salute.gov.it